Cavalcando un cammello, di notte, tra le dune

Ho sognato di cavalcare un cammello e d’inserire le marce sulla cloche, sotto la gobba. Mi sono sentito come un pilota di Formula 1 a bordo di una vettura nel circuito di Abu Dabi. A differenza dei tanto celebrati maghi del volante, però, non ho indossato caschi. Il sogno è il Cinemascope della fantasia e proietta sul grande schermo ciò che la nostra mente suggerisce. In questo caso, probabilmente, ciò che la rappresentazione onirica indica è la necessità di un cambio di passo, di marcia nella quotidianità oppure, in maniera subliminale, di individuare fonti di energia alternative al gas russo. La situazione si fa dura, anzi hard, per cui spazio ai sogni di Rock and Roll di Luciano Ligabue. Non sarà, dunque, un sogno di gas. Per essere meno prosaici, un sogno qualunque. Quanto, piuttosto, la ricerca di un pozzo petrolifero lungo i sentieri già battuti da Renato Carosone in “Caravan Petrol”. La potenza dell’immaginazione ci fa superare lo spazio tempo, solcare Oceani di sabbia e superare muri e barriere di ogni tipo. Il timore che le nostre esistenze possano essere stravolte da un episodio, da una privazione, da una guerra assurda e anacronistica, spinge le nostre menti a cercare un’oasi di pace, una soluzione al nostro fabbisogno di energia.
Ecco che, improvvisamente, il cammello inserisce il DRS. Sta per compiersi un miracolo naturale. Appena sotto il secondo, quattro zampe più avanti, c’è una Duna, il residuato bellico della vecchia berlina di casa Fiat. Ora si può! L’animale sculetta, s’impenna e parte a razzo! Le marce vanno in sequenza e il bolide del deserto realizza un sorpasso a fil di cordolo. Il team radio riporta l’esultanza dell’improvvisato pilota all’interno della sua monoposto. Manca poco all’ultimo giro e sul traguardo la bandiera a scacchi decreta una vittoria epocale: “Quant si bell a cavall a stu cammell”, torna alla memoria il motivetto, già richiamato, di Carosone! Nell’immagine festante, post gara, nel paddok non c’è più alcun turbante e nemmeno il narghilè.

Campeggia soltanto l’animale del deserto, il bolide in carne ed ossa, in grado di compiere un’impresa prodigiosa: l’aver superato tutti i limiti umani, nel concepimento del mezzo più brutto di sempre: la Duna. Un’auto incapace d’imporsi, persino nel suo habitat naturale. Si è fatto tardi, per i diritti televisivi è tempo di cedere la linea allo studio. Mi risveglio dal sogno mentre, sul podio, vengo premiato da sceicchi compiacenti e con turbanti. Sollevo la coppa tra fiumi di champagne e, ancora incredulo, torno tra i comuni mortali. Un motivetto mi rimbomba nella testa. E’ ancora una volta Luciano Ligabue a fornirmi la chiave di lettura di questo intermezzo esotico notturno: “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, sono sempre i sogni a fare la realtà”.