La solitudine dei borghi

Dall’analisi delle feste lucane d’estate
uno spunto per migliorare

Nell’aria c’è un vago sentore di mosto. Le foglie stentano a cadere spogliando gli alberi e la nostra mente da ogni residuo d’estate. Eppure nei vicoli dei borghi lucani riecheggiano i suoni e i canti delle svariate feste popolari che hanno animato la vita delle nostre piccole comunità. Cè tanta Lucania di rientro, d’estate, nei paesi della Basilicata. L’aria pura, il caldo sopportabile e la frescura serotina, accompagnati ad un clima festoso e da rapporti umani diretti, autentici rendono le nostre località mete ambite per i soggiorni estivi. E’ come un vento impetuoso che soffia sui cieli delle nostre contrade. Dura il tempo di un battito di ciglia, lo spazio di un caffè, di un saluto, di un abbraccio, di una lacrima che scende intrisa di ricordi. Malinconia latente subito mitigata dal suono di una fisarmonica, il cui mantice apre la mente ad un respiro più ampio e ad una visione più ottimistica della vita. Si vive del momento: qui ed ora! Il battito di cuore della Basilicata è, soprattutto, questo. Una stretta avvolgente dalla quale è difficile staccarsi. Arriva ineluttabile l’ora della partenza a sbattere la porta in faccia alla realtà. Nella valigia, non più di cartone, le foto della sagra, il ricordo delle tante processioni, il santino del protettore, il souvenir con il nome del paese, aroma di cruschi e di basilico, retrogusto di sacro e di profano. Ad accompagnare il sentore di lucanità. lo strappo del ritorno alle normali attività in un mondo diverso, lascia un magone infinito. Per chi resta al proprio posto, a dispetto delle statistiche che rilevano dati sempre più inquietanti sullo spopolamento, non rimane che un’analisi su ciò che si potrebbe migliorare, per rendere maggiormente fruibile la permanenza degli oriundi nei nostri luoghi. Ora, ad autunno inoltrato, il silenzio dei borghi vuoti è rotto dal vento che inizia a soffiare impetuoso nei vicoli stretti, nelle piazze solitarie. Il torpore di un’atmosfera rarefatta e soporifera induce a rimandare gli impegni per il miglioramento dello stato di cose attuali. L’estate è una meta ancora lontana. Nei comuni più virtuosi, quelli dove esiste una capacità critica e, a volte, anche di autocritica, dove la programmazione non è solo un sostantivo messo lì perché suona bene, c’è una visione d’altrove, una meta da seguire per sfuggire all’oblio. Ed è proprio questa la fase più produttiva per mettere le basi del cambiamento inteso come miglioramento. In fondo un anno passa presto, come diceva “Tornerai, tornerò” il brano degli Homo Sapiens: “Tornerai, tornerò, con il tempo non si può scommettere mai. E quello che succede non lo sai. Ti perdo ad ogni giorno sempre un po’. Tornerai, tornerò”. A quell’epoca i dischi giravano sul piatto, mentre la puntina graffiava il vinile consegnandoci un’amara conclusione che sottolinea il carattere transitorio dell’estate nei nostri borghi: “Ridicolo pensarci amore mio. Al primo incontro è stato già un addio. Tornerai, tornerò”.