Resilienza, tra araba fenice e cervo a Primavera

E’ difficile venirne fuori quando il limite della sopportazione ha superato i livelli di guardia. Nella modalità “mondo nuovo” sono tali e tante le situazioni che ci pongono al limite della resistenza. Oggi è stato riesumato il termine resilienza, la cui radice latina rende immediatamente l’idea che il limite, di farsi scivolare le cose, è stato abbondantemente superato. Dunque, l’etimologia di resilienza è “re” e “salire” (risalire), vale a dire ritornare di colpo. Così, in psicologia, per resilienza s’intende la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Non a caso il simbolo a cui è legato questo termine è l’araba fenice, l’uccello che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte. Negli ultimi tempi si è parlato di provvedimenti varati dagli Stati devi vari continenti e anche dal consesso europeo. Il PNRR che sta per “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, contiene al suo interno una finalità volta ad agevolare la rinascita di un popolo duramente colpito da una calamità o, come in questo caso, dalla pandemia. C’è da considerare che, al di là della tanto abusata terminologia burocratica e amministrativa, le generazioni che ci hanno preceduto hanno dovuto affrontare situazioni difficili. Le due guerre mondiali, nel secolo scorso, ne sono una valida testimonianza. Così come la gente campana e lucana ha dovuto fronteggiare una catastrofe naturale: il terremoto del 23 novembre 1980. Per chi ha vissuto quell’esperienza devastante del sisma, tornare a rivedere il film di quegli istanti e di tutto ciò che ne seguì, vuol dire guardarsi allo specchio con l’orgoglio di chi è riuscito ad uscirne indenne e di aver rimarginato le ferite, profonde, dolorose, prodotte da quell’evento. Da due anni a questa parte, poi, la pandemia è riuscita a mettere in ginocchio le nostre certezze. Il lookdown, la chiusura forzata in casa, la paura del contagio e delle conseguenze del Covid, il disagio in famiglia con i figli da consegnare alla scuola, l’incertezza e il clima di sospetto che serpeggiava ovunque. Lo smartworking che viene istituzionalizzato e l’accelerata, imposta dalle circostanze, sulla digitalizzazione. Infine i vaccini, l’adesione spontanea e il rifiuto di una parte della popolazione di sottoporsi al trattamento sanitario per fronteggiare il virus. Tutte problematiche che hanno messo a dura prova i nostri nervi e il nostro vivere civile. L’ultima ondata di pandemia, attualmente, sta regredendo. Oltre l’orizzonte non ci sono le certezze di esserne usciti definitivamente, però, si può dire che, nel complesso, abbiamo retto bene l’urto. Nemmeno il tempo di prendere fiato che riaffiora un antico braccio di ferro tra la Russia e la Nato, alla quale l’Ucraina, un tempo sotto la dominazione sovietica, chiede l’annessione. Purtroppo, lo spettro della guerra, negli ultimi giorni, è diventato realtà. Visto il numero sproporzionato delle forze dispiegate in campo dagli uomini di Putin, l’Ucraina, sebbene aiutata con le armi dalle forze occidentali, rischia di capitolare da un momento all’altro. Gli uomini del presidente Zelens’kyj stanno mettendo in campo una capacità di resilienza eroica. L’essere riusciti a resistere, ritardando, di fatto, l’occupazione definitiva del proprio territorio ha dato spazio alle prime azioni diplomatiche per scongiurare un conflitto ben più sanguinoso. Per stemperare il clima di tensione cui abbiamo fatto cenno, c’è anche un velo di resilienza nella musica leggera, anzi leggerissima. Il bimbo che cantava a Pippo Franco il motivetto: “Mi scappa la pipì, papà” non riusciva proprio a trattenerla ma, a suo modo, ha rappresentato l’icona di chi, oltre ai bisogni fisiologici, abbozzava una strenua resistenza! Così il mitico Vasco Rossi, in “Vivere”, nella quale “Vivere e sorridere dei guai, proprio come non hai fatto mai, e poi pensare che domani sarà sempre meglio”. Insomma non bisogna mai perdersi d’animo. Non importa se, qualche volta, si finisce per sopravvivere, per arrancare e trascinarsi. Mai perdere la fiducia nel domani. Come non farsi beffe, poi, della drammatica esperienza di Riccardo Cocciante in “Cervo a primavera”. “Io rinascerò” cantava il cantautore vietnamita: rinascita, dunque, ma a caro prezzo! Per finire poi a “Guarda l’alba” di Carmen Consoli e Tiziano Ferro. Un brano che ci insegna a sorridere e suona quasi come un invito a rinascere. “Tutto inizia, invecchia, cambia forma. Amore, tutto si trasforma, persino il dolore più atroce si addomestica”. Il tempo, a volte,  serve a far pace con i propri conflitti. Anche il dolore è necessario per rinascere.